martedì 26 maggio 2009

Dedicato a chi non teme la Rete

La scorsa settimana Twitter è finita nel mirino degli psicologi, che hanno messo sotto osservazione critica il noto sito di microblogging, perché ritenuto uno strumento tutt'altro che adatto allo sviluppo della sensibilità degli utenti. Oggi tocca a Facebook il banco degli imputati, ma per motivazioni ben più complesse.

Serve dunque una premessa: il mondo di Internet è per antonomasia uno spazio libero e deputato alla manifestazione del pensiero di ogni utente; dalla Rete è possibile apprendere ciò che avviene in paesi dittatoriali, smascherare reati anche gravi e accrescere la consapevolezza nei confronti delle problematiche ambientali. Questa maggiore libertà è intrinseca allo strumento stesso, che non si presta a essere controllato facilmente. Ma come si può identificare il confine fra libertà d'espressione e reato?

La problematica ha toccato anche Facebook, che in queste settimane molti hanno tartassato affinché i gestori del sito rimuovano alcuni gruppi che negano l'Olocausto.

Facebook ha accettato di bannarne due sui cinque noti, ma qualcuno non è soddisfatto del risultato, ritenuto insufficiente a garantire il rispetto di tutti coloro che hanno patito - direttamente o indirettamente - le conseguenze dell'Olocausto e di quanti tengono alla conservazione di una memoria storica integra.

Facebook si difende: ci sono le autorità che potrebbero indicare come comportarsi e comunque il team sta monitorando questi gruppi e interverrà qualora essi inneggino alla violenza o all'odio.

Tuttavia, alcuni detrattori di Facebook hanno fatto notare che frasi come "Jews use the holocaust to achieve their agenda of killing innocents. Israel is the holocause (sic) of today" sono già espressione di un atteggiamente deviato.

Ecco dunque il vero problema: la libertà di espressione non è un diritto che possa giustificare tutto, e per questo esisterebbero le leggi, ma partendo dall'Italia, dove l'apologia di reato resta una fattispecie criminosa ancora in vigore, non è purtroppo facile da configurare, rendendo assai difficile l'imputabilità di qualcuno sulla base di manifestazioni di pensiero estremiste.

Non resta dunque che combattere questi gruppi con l'unica arma che Facebook e la Rete mettono a disposizione: l'aggregazione di pensiero intorno alle problematiche dell'Olocausto e delle sue conseguenze potrebbe forse valere di più di qualunque censura; inoltre boicottare questi gruppi, isolandoli nel contesto del social network, li indebolirebbe e li porterebbe all'estinsione.

Resta poi una verità: non si teme ciò che si conosce; è bene dunque divulgare idee positive che facciano chiarezza sull'Olocausto e che mettano in risalto il valore di tutte quelle vite stroncate nei campi di concentramento. L'ignavia di certi esponenti Facebook ha un proprio girone nell'Inferno dantesco, e uno in quello della Rete...

Agnese Bascià

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